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giovedì 30 giugno 2011

La zia di Lampedusa - Tienimi con te

Tienimi con teOttavo capitolo - Scoglio di Lampione, 12 ottobre sera - In serata la “Lampara” entrò nel pieno della sua attività con l’arrivo del signor Patania.
Il maltempo sembrò avere concesso una tregua, le onde del mare diventarono sommesse, il cielo a tratti fu di nuovo sgombro, il vento forte sfilacciò le nuvole cancellando il grigiore e disegnando ghirigori bianchi e viola sullo scenario infuocato del tramonto. Don Carmelo affrontò con una certa tranquillità l’ennesima traversata per accompagnare il nuovo ospite: non era certo un tipo formidabile come il dottor Tardonato, né si poteva definire pittoresco come Cristoforo Colombo. Sembrava un tipo piuttosto flemmatico, un classico ragioniere di mezz’età fornito di occhiali dorati a cerchietto e pancetta prominente. Il suo bagaglio, costituito da due pesanti e robusti trolley di buona marca, riuscì a placare perfino l’animo ansioso di Giovanna. Era diventata così sospettosa riguardo alla potenziale solvibilità dei suoi clienti!
Patania si mostrò molto soddisfatto del contesto e in particolare della camera. Affermò con entusiasmo che il giallo era proprio la sua tinta preferita. Si riunì a fare due chiacchiere con gli altri ospiti e riuscì a conversare amabilmente perfino col dottor Tardonato, in breve i due sembrarono diventati vecchi amici. Riccardo Patania non scoperse fili di amicizie in comune, però giunse alla conclusione di aver senz’altro conosciuto certi cugini di secondo grado del dottore, trapiantati da un paio di generazioni in Puglia, sua regione d’origine.
Quella sera Giovanna e Salvo non ebbero molto tempo per scambiarsi considerazioni in merito agli ospiti, perché furono occupati a preparare una cena molto elaborata che riscosse un ottimo indice di gradimento generale. La cuoca ufficiale era Giovanna, che aveva appreso con diligenza tutte le ricette segrete della zia, ma quando Salvo aveva voglia e tempo di unirsi a lei per aiutarla, in cucina si attivava un’alchimia speciale. C’era una sintonia impareggiabile fra loro che faceva, di quel cucinare insieme, il loro gioco di coppia preferito. Tutto quell’affettare, mescolare con sapienza e, di tanto in tanto, assaggiare, li scaldava. Consideravano il cucinare una delle poche attività della vita in grado di coinvolgere pienamente tutti e cinque i sensi. Infatti, in quanti altri modi, essi, possono divampare simultaneamente?
L’olfatto si esaltava agli effluvi delle spezie e degli aromi dell’orto. Le narici si dilatavano per accogliere lo stordimento avvolgente dei profumi dei cibi, inducendo ad incrementare la salivazione. Il tatto partecipava al gioco attraverso il contatto delle mani con l’acidità del limone, il balsamo degli oli, la pastosità degli zuccheri e del burro.
L’udito, poi, coglieva attento il crepitio invitante delle fritture, il sobbollire sommesso delle larghe pentole, il crocchiare fragrante delle verdure che si sminuzzavano docili sotto la lama. Al ritmo cadenzato dello sbatticarne si improvvisavano, in cucina, i balli più impetuosi. La vista si beava nel curare la scenografia dei piatti da portata. Alternando la composizione cromatica dei cibi disegnavano figure arcane, giocando a nascondervi allusioni insospettabili. Avevano un alfabeto segreto di simboli, di forme e di colori, col quale si scambiavano messaggi, talvolta oltre ogni immaginabile limite. Solo loro due, in possesso del codice, erano in grado di decifrare quei contenuti, senza che nessun altro, fortunatamente, potesse sospettarne minimamente il senso. Era un gioco cominciato per caso. Quando Giovanna viveva ancora da poco con loro, entrambi ci tenevano a rispettare una certa distanza formale. Allora sotto gli occhi ignari della zia, con l’uso di quei messaggi culinari, riuscivano a scambiarsi accordi silenziosi e a combinare progetti segreti, per la serata.
Il gusto, infine, faceva la parte del leone. Salvo e Giovanna si inebriavano a vicenda, proponendosi gli assaggi più sfiziosi. Era un avvicendarsi continuo di sapori aciduli e melliflui, salati e dolci, morbidi e piccanti, che si sovrapponevano. Le lingue vorticavano anelando a una ricerca sempre nuova di inedite sensazioni. Le bocche si schiudevano, sempre più voraci, in un crescendo di eccitazione che precorreva già a una nota, inesorabile, conclusione. Restavano in espansione, coi sensi tesi e vigili, fino a quando, alcune ore dopo, appartati nella loro intimità, avrebbero potuto finalmente abbandonarsi a ben altri gesti, sapienti e magici, suggeriti dalla passione. Quel gioco non era che il preludio all’accensione che si sarebbe propagata per tutto il corpo, producendo infine un’esplosione sincrona.
La cena si concluse nel migliore dei modi e, in particolare, il signor Patania ebbe parole di elogio per il caffè corretto “alla siciliana” con gocce di liquore di mandorle tostate, invenzione originale di Giovanna. Troppo eccitati per avere sonno, verso la mezzanotte, Salvo e Giovanna andarono a letto. Trionfanti per esser riusciti a sopravvivere al loro primo giorno di lavoro, gongolanti di avere conservato ancora un briciolo di forze e un po’ di tempo da dedicarsi, festeggiarono il successo con un confidenziale brindisi. Si spogliarono alla luce morbida della luna che filtrava dai vetri inondando il letto, adoperarono una lentezza studiata ad arte, per esasperare al massimo la tensione già palpabile e il bisogno impellente che avevano di ricongiungersi. Solo a notte inoltrata l’armonico accordo finale di quella lunga sinfonia a quattro mani li lasciò, sfiniti, riposare insieme.
Il tempo tornò a peggiorare, il silenzio fu rotto dal riecheggiare insistente delle onde che si infrangevano pesantemente sugli scogli. Nonostante i robusti infissi fossero stati tutti ermeticamente serrati, si udì il sibilare del vento che nell’oscurità assumeva toni alquanto inquietanti. Non si lasciarono suggestionare, in fondo erano abituati, si trattava di suoni familiari. Il torpore, con la complicità della stanchezza, ebbe presto il sopravvento. Quando, quieti e appagati, presero sonno, la nottata riservò loro altre sorprese.
Giovanna aveva il sonno più leggero. Fu svegliata dopo un paio di ore dal suono insistente del campanello dell’ingresso, balzò a sedere sul letto e scosse Salvo che, nonostante tutto, continuava a dormire profondamente: – Accidenti, svegliati! Prima che si sveglino tutti gli altri! È il campanello dell’ingresso principale, senti? – lo chiamò allarmata.
– Ma chi diavolo può essere a quest’ora? – biascicò Salvo aprendo gli occhi stralunati.
– Svelto! – continuò Giovanna – Vai a vedere chi è!
– Perché? Se non faccio in fretta temi che, chiunque sia, se ne possa andare via? – chiese lamentoso Salvo infilandosi le ciabatte.
– Stai attento! Ma dove vai così? Mettiti qualcosa addosso! – gli sussurrò Giovanna alle spalle, vedendolo sparire nudo nell’oscurità. Salvo passò velocemente dal bagno e si coprì, alla meno peggio, con un accappatoio. Pochi istanti dopo dall’atrio giunse un cono di luce e un vocio confuso e acuto. Era un uomo che parlava in falsetto? O era una donna? Era una donna a quell’ora della notte... che parlava con suo marito? Che, per di più indossava solo un vecchio accappatoio? Spinta dalla curiosità Giovanna saltò dal letto e andò a sbirciare, non credeva ai suoi occhi: Salvo stava aiutando una donna a... spogliarsi! Certo, la scusante era costituita dal fatto che quegli indumenti dovevano essere proprio fradici a giudicare dalla pozzanghera che si era formata ai loro piedi. Ma, scusante o no, un fatto era un fatto: c’era una donna che si era permessa di svegliarli, per farsi spogliare da suo marito! Che cosa assurda! Giovanna sentiva il sangue pulsarle forte alle tempie, era rimasta paralizzata dalla gelosia, se fosse uscita in quel istante avrebbe fatto una strage da prima pagina! Roba da fare impallidire perfino l’assassino di Linosa. Reputò più saggio restare ferma. Poi cercando di calmarsi ebbe un forte brivido, si ricordò che, anche lei, non aveva niente indosso. Afferrò la camicia da notte infilandosela, senza accorgersene, al rovescio. Era distratta dall’eco dei frammenti di conversazione che le giungevano deboli.

– Brr... ho le dita così gelée che non le sento più... – diceva la donna. Aveva una voce dolce, dall’accento vagamente straniero, e riprese: – ... e i piedi poi... non pas parler!- Udì il tonfo delle scarpe che volavano sul pavimento, mentre Salvo le sorrideva ... canaglia! Dovette aggrapparsi forte alla porta, cominciò mentalmente a contare, come ultimo rimedio contro la voglia che aveva, di uscire dalla camera come una furia e di scaraventarsi addosso a quella lì. Vide Salvo che, premuroso, le spalancava la porta del salottino: – La prego, si accomodi qui, c’è sicuramente meno freddo. Se la sente di aspettare da sola, un attimino? Chiederò subito a mia moglie di prepararle una bevanda calda mentre salgo a prepararle una camera.-
– Come no? Una tonificante spremuta di cicuta con un goccino di arsenico le potrebbe andare bene? – gli urlò in faccia Giovanna, acida, vedendolo tornare in camera.
– Ma sei matta! Non gridare, che quella ti sente! Piuttosto, occorre prestarle un pigiama o qualsiasi altro indumento asciutto dato che è rimasta quasi nuda?-
– Ma davvero? Poverina, viene a spogliarsi davanti a mio marito, nel cuore della notte, e dovrebbe anche farmi pena?-
– Ma piantala! Ma non ti sembra fuori luogo iniziare una lite per gelosia, proprio in questo momento? Quella poveretta è tutta intirizzita! Ha proprio una brutta cera...-
– Va bene. Tregua. Però domani faccio i conti... con tutti e due – disse Giovanna cercando nell’armadio gli indumenti più brutti che aveva, da prestare alla malcapitata. – La camomilla... gliela porto io, però gliela prepari tu, altrimenti ci metto davvero il cianuro! Anzi, già che ci sei, ne prepari una anche per me?-
Giovanna, senza profferire parola, servì la camomilla alla nuova arrivata. La squadrò spietatamente dalla testa ai piedi e, mentre un mare di parolacce le si affacciavano sulla punta della lingua, decise che entrambe dovevano avere, pressappoco, la stessa taglia e le porse degli abiti asciutti. Infine disse solo: – Dovrebbero andarle bene, credo. –
– Andranno benissimo, merci, – rispose l’altra con un sorriso stanco prendendo gli abiti. Giovanna l’accompagnò ad una delle camere libere e le augurò seccamente la buonanotte, la ragazza ricambiò il saluto e ringraziò ancora, timidamente, con un filo di voce e un incantevole sorriso. Scendendo le scale Giovanna provò una fitta di rimorso per essere stata tanto dura, la ragazza non si era accorta dei suoi modi scostanti, oppure era troppo provata per curarsene. Forse avrebbe avuto anche bisogno di un medico... di un antibiotico... in fondo fra gli ospiti c’era il dottor Tardonato. O le sarebbe bastata una buona nottata di sonno? Tornata in camera superò quell’attimo di smarrimento.
– Allora? Chi è? Cosa ti ha raccontato? – chiese a Salvo con tono dichiaratamente da interrogatorio.
– E cosa vuoi che ne sappia, io? – le rispose la voce cavernosa di Salvo da sotto il lenzuolo, col tono di chi non intende protrarre oltre la conversazione.
– Cosa? Vuoi farmi credere che una sconosciuta ti piomba in casa nel cuore della notte e tu la lasci entrare senza problemi? – gli fece Giovanna, per niente decisa a mollare.
– Ma che pretendevi? Che le chiudessi la porta in faccia, dicendole di tornarsene da dove era venuta? Non hai idea di che tempaccio ci sia lì fuori!-
– Infatti! Proprio questo deve metterti in sospetto: come ha fatto, quella, ad arrivare fino a qui?- Salvo tacque perché era piombato in letargo.
– E rispondimi! – gridò Giovanna scuotendolo, finché lui si arrese emergendo sconfortato: – Va bene... ti posso ripetere solo quello che mi ha detto. E che già sai, perché, ne sono certo, hai ascoltato anche tu. È una turista francese di origine nordafricana. È in vacanza in Sicilia, da sola. Da qualche giorno è arrivata a Lampedusa, è appassionata di vela perciò ieri è uscita in barca poco prima del tramonto, dato che il tempo le sembrava migliorato. Non intendeva allontanarsi troppo dalla costa ma il vento le ha giocato un brutto scherzo cambiando improvvisamente direzione. Penso che non sia molto pratica di navigazione, anche se dice che le piace la vela! Insomma, in breve si è ritrovata al largo, le vele si sono lacerate, il telefono le è caduto in mare e le onde le hanno capovolto lo scafo. Stava per lasciarci la pelle, è rimasta aggrappata per diverse ore a quel che restava del suo guscio di vetroresina, nel buio, finché la corrente non l’ha sbattuta sul nostro scoglio! -
– È sposata?-
– Ma cosa vuoi che ne sappia?-
- Non hai visto se aveva la fede?-
– No, non ci ho fatto caso. Di sicuro ha un ematoma su una coscia e delle abrasioni al fianco sinistro, se le deve essere procurate urtando contro gli scogli, ma non mi sembra nulla di grave. Forse avremmo dovuto svegliare il dottor Tardonato e chiedergli di visitarla, ma ormai penso sia meglio aspettare domattina, tanto, fra un paio d’ore sarà già l’alba-
– In effetti, mi è sembrata molto prostrata... non ci morirà qui? Nel corso della notte? Mio Dio!-
– Ma non dire sciocchezze! Vedrai che domani mattina starà meglio. Mi è sembrata abbastanza lucida, dice che quando ha visto la nostra insegna le è sembrata la risposta alle sue preghiere. Da stanotte dice di aver avuto la prova che lassù qualcuno, ogni tanto, ci ascolta. Mi ha chiesto se avevamo una camera libera e se potevamo considerarla un’ospite della pensione, come tutti gli altri, pur essendo arrivata in modo a dir poco avventuroso. Penso che non abbia nulla di rotto, non si è lamentata di particolari dolori o altro-
– Ma possiamo crederle? Pensi che sia un tipo a posto? Se fosse una poco di buono, che ha escogitato una macchinazione? – Chiese seria Giovanna. – Tesoro, non è certo in una notte come questa che una ladra si metterebbe in moto, non credi?-
– Potrebbe avere dei complici che l’aspettano al largo...-
– Certo! – proseguì Salvo ironico – Così svaligia la pensione, poi scappa a nuoto, nella tempesta, indossando il tuo prezioso pigiama e stringendo fra i denti il fagotto con l’argenteria di zia Salvatrice!- Giovanna era ancora dubbiosa: – Dunque è straniera? -
– Sì, penso di sì. Così ha detto, si chiama Jasmine Togo, ho visto anche i suoi documenti, inzuppati. E le sue carte di credito, intatte. Fortuna che oggi sono tutti rettangoli di plastica.-
– Fortuna che la camera rosa fosse già pronta! Pensi che avrei dovuto prestarle anche uno spazzolino da denti?- Giovanna ebbe un nuovo attimo di pentimento, per essere stata così brusca.
– Credo che sopravvivrà anche senza lavarsi i denti, per stanotte! Ora dormiamo, vuoi? Buona notte amore - Concluse Salvo sprofondando definitivamente fra le lenzuola.
– Certo, è proprio una notte da lupi... – osservò Giovanna pensierosa – ... Pensi che riuscirò a far lievitare il pane come faceva la zia Salvatrice, se dovessimo rimanere isolati per diversi giorni?-
– Sicuro! Tu riesci sempre a far tutto ciò che vuoi, tesoro! – la rassicurò zuccheroso Salvo – Buona notte, adesso dormi...-
– ...Se fossimo tagliati fuori dalla civiltà... – continuò Giovanna imperterrita.
– Dormi...-
– ...allora non arriverebbe più la fornitura del fornaio, né del macellaio, neanche il pesce fresco potremmo avere, o la posta... Internet non l’abbiamo voluto per principio, la televisione satellitare tanto meno... ma ti rendi conto che potremmo restare veramente isolati?-
– Domani ne parliamo, per ora dormi, ti prego. -
– Per fortuna abbiamo il gruppo elettrogeno autonomo e i pannelli solari -
– Sì cara, ma per ora dormiamo, ti prego...-
– Piuttosto, dobbiamo controllare il livello del gasolio...-
– Dormi ...-
– Il carico dovrebbe arrivare domani, ma con questo tempaccio sarà difficile, occorrerà fare dei conti per limitare i consumi al minimo indispensabile... ma ... non hai sonno? Dove vai? – chiese Giovanna allarmata, vedendo Salvo alzarsi e sparire dalla camera. – Forse potremmo farli domani, i conti... – continuò perplessa con un filo di voce. – Cos’è ? – chiese Giovanna sospettosa vedendolo rientrare pochi istanti dopo con una tazza fumante in mano.
– Cosa vuoi che sia? La tua solita camomilla, tesoro! – le rispose Salvo porgendole la tazza – Ecco, bevi. - Giovanna non arrivò a berla tutta, si addormentò in pochi istanti fra le sue braccia. Lui le tolse la tazza dalle mani e, delicatamente, le rimboccò teneramente il lenzuolo domandandosi se, forse, non aveva esagerato con il numero di gocce di valeriana. Poi si strinse le spalle e infilandosi nel letto pensò: – Beh! Quando ci vuole, ci vuole. Pazienza.
Fino alla fine, fino a che si può,
fino al confine, fino all’ultimo, fino alla fine del tempo,
fino a che ce n’è ancora un po’, fino alla fine di tutto, fino allora tu
tienimi con te, sotto il buio aperto della notte di un deserto tra le dune del tuo petto
e tienimi con te così al tuo sonno stretto niente è triste più di un letto vuoto e già sofferto.
Quante foglie ha il vento nei viali soli quando ha il sopravvento su noi persi in altri voli,
quante onde ha il mare come belve in gabbia? Sempre qui a scappare e noi siamo solo sabbia
che pena poter bagnare appena le labbra fino alla fine, fino a che si può, fino al confine,
fino all’ultimo fino alla fine del tempo, fino a che ce n’è ancora un po’,
fino alla fine di tutto, fino allora tu
tienimi con te, tienimi con te, tienimi con te, tienimi, tienimi con te.

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